Questa storia, a differenza di tante altre, inizia con una forchettata di insalata di radicchio troppo amara. Amara a chi ci capita, direbbero al mio paese. Ti rimane una poltiglia in bocca, che è come quando senti la nausea prima di rimettere, e allora non sai se inghiottire o sputare. Il radicchio ha la sua consacrazione nella regione veneta. Tutti i veneti che ho conosciuto nella mia vita avevano risvolti simpatici, ma qualcosa di amaro come retrogusto. Tutti a parte Luca, ciao Luca! E parlo sia a livello di puro istinto che a livello di gusto effettivo, visto che le persone che mi piacciono molto, dopo un poco, tento di assaggiarle. E insomma, dopo questa forchettata decisamente amara, decisi di trovare un modo più stuzzicante per cucinare il radicchio. L’abbinamento con la frittata lo rendeva sopportabile, quello con le carni ne mimetizzava l’amaro, anzi, forse addirittura lo contestualizzava. Però non credo abbia molto senso giustificare una pietanza accoppiandola con mille altri intrugli. Cioè, è troppo facile così. Il resto degli ingredienti sbriga tutto il lavoro, e il radicchio che ci sta a fare? Però io non volevo certo arrendermi, e gettarlo nella pattumiera. Mi sembrava di gettare, assieme a quel cespo violaceo, secoli e secoli di storia e cultura agricola veneta. Così mi sono fatto un risotto al radicchio. Non avevo in casa il vino bianco, e nemmeno il brodo, ma qualcosa di commestibile sono riuscito a combinare lo stesso. Sicché, la morale di questa storia è: non siate troppo sbrigativi a considerare quanto la vostra vita vi sembri insopportabile e amara. La vita non ha sapore, non è che potete tirare fuori la lingua e sentire se manca di sale. Quindi smettetela di stare con le linguacce di fuori come cammelli e pensate ai cavoli vostri, o al radicchio vostro, a seconda dei casi. E smettetela di lamentarvi di quanto sia amara la vita. E’ colpa del radicchio!
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